(Capolona, Italia. 2020)

 

“D’acqua”

 

Ho immerso la mia mano nel fiume che scorre senza tempo.

Sempre diverse sono le sue acque e sempre uguali. Si separa e di nuovo si aduna, si secca ed inonda, avvicina e allontana storie e destini.

Ho immerso la mia mano nel fiume che scorre senza tempo.

E si è riconosciuto nelle linee del mio palmo. Specchio dei popoli che io sono stato e primo contatto stretto alla nascita con chi mi ha dato la vita.

Ho immerso la mia mano nel fiume che scorre senza tempo e mi sono riconosciuta.

Sono Maia.

Sono d’acqua.

 

L’idrografia segna il paesaggio in maniera non meno visibile delle linee che tracciano il palmo delle nostre

mani.

Sul palmo, attraverso i riflessi neonatali attivi fin dai primi giorni di vita, inizia la vita di relazione del bambino e si comincia a tracciare la traiettoria della sua vita futura.

Sulle linee dei fiumi si avvicendano le storie degli uomini e dei popoli, le acque superano le distanze e mescolano le culture.

La manina che tutti siamo stati e il grande antico dio d‘acqua sono il fiume in cui tutti entriamo vivendo, che è sempre lo stesso ma ha acque sempre diverse.

Al di là del velo di Maia, l’essenza rimane immutata. Ma quale incarnazione è più dolce del rilucente e mutevole volto di una bambina i cui occhi mirano quel fiume ogni giorno?

 

Capolona, Italia. 2020.

 

Testo: Giuseppina Ottieri.

Progetto: 52010 Art Fest.

 


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